Claudio Piras Moreno

No. 104 / Noviembre 2017


 


 


Claudio Piras Moreno
(1976)

Traducción de Rafael Hernández Aguilar


Claudio Piras Moreno nació el 18 de agosto de 1976, en Lanusei, Cerdeña, Italia. Tiene un Doctorado en Ciencias Políticas con una tesis doctoral intitulada: Las sociedades perfectas en la literatura utópica y de ciencia ficción (desde Platón hasta Isaac Asimov). Colabora con la compañía de teatro: La Nuova complesso Camerata de Bruno Venturi y Oreste Braghieri, sobre todo como actor y algunas veces como autor de textos que a menudo él mismo interpreta. Además colabora con la directora teatral Pierangela Calzone, entre otras compañías. Algunas de las obras en que ha participado incluyen: Po' Cantu Biddanoa (Luisiccu, dirección de Bruno Venturi y Oreste Braghieri – Varias réplicas); Paese d'ombre (Angelo Uras, dirección de Pierangela Calzone – Varias réplicas); La Chimera (dirección de Pierangela Calzone); Quale terra? (dirección de Oreste Braghieri – Varias réplicas). Uno, nessuno, centomila (dirección de Romano Foddai). Del italiano ha traducido: El País de la canela de William Ospina en colaboración con la periodista colombiana Martha Bernal. Ha publicado tres novelas: Il crepuscolo dei gargoyle (novela de fantasía, escrita a los dieciséis años), Il Signore dei sogni (novela filosófica) y Macerie (novela de realismo mágico traducida al español con el título El hombre sin memoria). Además ha escrito un libro de poemas intitulado Mar de sombras y uno de cuentos intitulado El icor humano. Obtuvo mención en el Premio Mario Luzi con el poema Ninfa del lago, fiore del profondo, y también el premio de la crítica en el concurso poético “Premio Apollo” en el 98 con el poema Lo scoglio.

 

Ai tempi di internet e dei cellulari

Sono il tuo principe delle arene candide
sepolto tra palchi, monili e zanne
al freddo d'una grotta millenaria
coi millenni tra le braccia e nessun ricordo:
perché ogni reminiscenza giace nel fondo.
Dalla volta ho cancellato il tuo dipinto
e ogni cosa che volgesse a te la mia mente:
parole, messaggi e cifre.
Mi sono cosparso d'ocra rossa la testa
e mi sono disteso in questa fossa.
Verranno altri e mi saran sepolti accanto
e poi strato su strato per contare i millenni.
Sarà inutile richiamarmi o farmi segni
sono isolato, e nulla qui si sente.
Ero armato e non mi sapevo indifeso,
mi consideravo predatore, e son stato predato.
E ora solo la torba mi protegge,
riscalderà il mio sonno greve,
ma sognerò ancora praterie e grandi distese
mi agiterò ancora al ricordo di corse sulla neve,
di tigri dai denti a sciabola e mammut,
bisonti, bacche e fuochi accesi la sera.

Assopito al calore delle pelli
sentirò ancora il tuo odore
e sarà il peggior dei tradimenti:
della vita che andandosene mi deride.
E allora lo fiuterò, per stanarti e inseguirti,
per essere preso, divorato e gettato via!
Perché la caccia non ha termine nei sogni
e quando si è distesi non si ha scampo.

Sono il tuo principe delle arene candide
sepolto tra palchi, monili e zanne.

 

En los tiempos del internet y los celulares

Soy tu príncipe de las arenas cándidas
sepultado entre palcos, collares y dientes
en el frío de una gruta milenaria
con los milenios entre brazos y ningún recuerdo:
porque toda reminiscencia yace en el fondo.
De la bóveda borré tu retrato
y todo lo que llevara hacia ti mi mente:
palabras, mensajes y cifras.
Me recubrí de ocre rojo la cabeza
y me acosté en esta fosa.

Vendrán otros y sepultados estarán a mi lado
y así estrato por estrato para contar milenios.
Será inútil llamarme o hacerme señas
estoy aislado, y aquí nada se oye.
Estaba armado y no me sabía indefenso,
me consideraba predador, y fui apresado.
Y ahora solo la turba me protege,
calentará mi sueño grave,
pero aún soñaré con praderas y grandes llanuras
aún me agitaré con el recuerdo de marchas en la nieve
de tigres dientes de sable y mamuts,
bisontes, bayas y fogatas nocturnas.
Adormilado al calor de las pieles
aún sentiré tu olor
y será la peor de las traiciones:
de la vida que yéndose de mí se burla.
Entonces lo olfatearé, para desencorvarte y seguirte
¡Para ser apresado, devorado y desechado!
Porque la caza no tiene fin en los sueños
y al estar acostado no hay escapatoria.

Soy tu príncipe de las arenas cándidas
Sepultado entre palcos, collares y dientes.

 

Percezioni

Le nuvole nel cielo
si disfano e si rammendano da sole.
Affondano con il loro peso,
le pietre, anche nella terra.
M'imbardo con le braccia al vento
come un aquilone
e l'alba che mi spunta alle spalle
non mi sorprende.
La pioggia scende
e si fonde nella polvere:
respiro il profumo di ciò che terge.
Il suo fluire alimenta radici e faune:
in me consuma la sete.
Nel suo abbraccio mi fondo e mi accendo,
penso, immagino e sento il suo calore.
La natura potente mi parla:
misero, un niente, ascolto.

 

Percepciones

Las nubes en el cielo
se deshacen y se remiendan solas.
Se hunden con su propio peso,
las piedras, también en la tierra.
Doy volteretas con los brazos al viento
como un papalote
y el alba que sale a mis espaldas
no me sorprende.
La lluvia cae
y se funde en el polvo:
respiro el perfume de lo que limpia.
Su fluir alimenta raíces y faunas:
en mí la sed apaga.
En su abrazo me fundo y me enciendo,
pienso, imagino y siento su calor.
La potente naturaleza me habla:
mísero, yo un nada, escucho.

 

Il dono della morte

Non c'è sorpresa né dono nella morte
avanza sempre da qualche cosa
qualcosa che ti rimane dentro,
dal momento in cui nasci e non sai;
non puoi estirparla in vita
viene fuori soltanto alla fine
quando non puoi far altro che lasciarla andare
e accorgerti che invece sei tu ad andare,
i tuoi ricordi, la tua voce, i tuoi accidenti
tutto quello che ti è successo e l'inevitabile,
tutto quello che avresti voluto essere e non sei stato.
Te ne vai in solitudine, senza difese,
uno nella massa indistinta di persone,
lasciandoti dietro ogni cosa
perché nulla t'apparteneva:
tua era soltanto la morte.

 

El don de la muerte

No hay sorpresa ni don en la muerte
se extiende siempre desde algo,
algo que se te queda adentro,
desde el momento en que naces y no sabes;
no puedes extirparla en vida
se sale solo al final
cuando no puedes hacer más que dejarla ir
y percatarte de que eres tú quien se va,
tus recuerdos, tu voz, tus vicisitudes
todo lo que te sucedió y lo inevitable,
todo lo que hubieras querido ser y no fuiste.
Te marchas en soledad, indefenso,
uno en la masa indistinta de personas,
dejando todo atrás
porque nada te pertenecía:
tuya era solo la muerte.

 

Gli animali sono strani

Non è tradizione delle mosche
atterrare sul naso delle spose,
né riescono a consolarsi le rane
salpando dal bordo d’un bicchiere.

Chi non vede ridere le giraffe
nemmeno può dire di sentirle parlare.

Uno scarafaggio ti fissa negli occhi
solo se hai qualcosa sulla punta del naso.
Allora prova a farlo scendere…
Non avevi niente, ha smesso.

Dopo aver fatto la barba al gatto
non è bene rimestare con la sua coda lo stufato:
si potrebbe fare meglio con quella del cane.

Non so perché, ma nelle occasioni importanti
ci si scorda sempre il mento sul letto,
le orecchie sul tavolo e si va in giro senza fronte.

Oggi ho ravvisato la scorrettezza d’un serpente,
si arrampicava su un muro strisciando all’indietro
e scodinzolava come un cagnolino a delle suore.
Quella di mezzo piangeva,
l’altra sulla destra le soffiava il naso,
la terza le faceva tremare le gambe.

Poco più avanti una sposa
lanciava il bouquet pieno di pietre
e feriva tredici persone;
la mosca atterrata sul suo naso
festeggiava allegramente.

 

Los animales son extraños

No es tradición de las moscas
aterrizar en la nariz de las esposas,
ni logran consolarse las ranas
zarpando desde el borde de un vaso.

Quien no ve reír a las jirafas
tampoco puede decir oírlas hablar.

Un escarabajo te mira a los ojos
Solo si tienes algo en la punta de la nariz.
Ahora trata de hacerlo bajar…
No tenías nada, ha parado.

Después de arreglarle la barba al gato
no está bien revolver con su cola el estofado:
podría hacerse mejor con la del perro.

No sé por qué, pero en las ocasiones importantes
se nos olvida siempre el mentón en la cama,
las orejas en la mesa y salimos sin frente.

Hoy he visto la descortesía de una serpiente,
se trepaba a una pared arrastrándose hacia atrás
y coleaba como un cachorrito a unas monjas.
La de en medio lloraba,
la otra a su derecha le sonaba la nariz,
la tercera le hacía temblar las piernas.

Un poco más adelante una esposa
lanzaba el ramo lleno de piedras
y hería a trece personas
la mosca aterrizada en su nariz
festejaba alegremente.

 

Lo scoglio

Fisso le onde infrangersi sullo scoglio
Con la mente oppressa dal loro riflesso spoglio.
Si perde qualche battito nel mio immenso petto,
mentre ne osservo il petulante assiduo dispetto.
Quasi mi getterei a fermare
quel loro perpetuo logorare
che innumerevoli sofferenze al sasso ha perpetrato;
ma le mie scarne membra, di questo sono sicuro,
non riuscirebbero ad interromperne l’immoto fluire.
Per ciò mi chiedo: “Quando tutto ciò potrà un giorno aver fine?”
Una insinuante brezza sospirandomi sulla pelle
mi scuote dal mio torpore e mi fa rabbrividire:
come fosse stata la risposta più ovvia!
Quanti scogli consumati dall’infinito avvicendarsi d’onde
si son chiesti il termine ultimo del loro perenne subire?
e piangendo lacrime di sale, piccole perle amare
discioltesi nell’abissale profondità del mare
ne hanno cercato invano, tra anfratti e grotte, la soluzione?
Fantasmi azzurri senza nome
si spengono spruzzando una funerea canzone,
il cui eco lascia strascichi d’inquietudine nel mio cuore;
un gabbiano bianco e grigio, trascinato dal maestrale,
di lontano mi grida qualcosa…
ma io purtroppo non lo sento
e mentre mi volto, il suo grido se lo porta via il vento.
E quasi lo vorrei seguire, ma so di non poterlo fare:
non son nato gabbiano, non so volare.
Me ne sono reso conto quando, incatenato a questo fondale,
ho tentato di scappare: lontano dall’onda!
Sono nato scoglio e dell’essere eroso ne ho fatto una ragione.
Per questo sulla mia porfirica scorza ho fatto crescere un fiore,
si chiama Gorgone e sarà la mia vita e la mia passione.
Ma ora lasciateci dormire, il nostro amore mai dovrà umiliare
questo assurdo agitarsi del mare.

 

El escollo

Miro las olas romperse contra el escollo
con la mente oprimida por su desnudo reflejo.
Se pierden unos latidos en mi inmenso pecho,
mientras observo el petulante asiduo despecho.
Casi me lanzaría a parar
su perpetuo desgastar
que innumerables sufrimientos a la piedra ha perpetrado,
pero mis descarnados miembros, de esto estoy seguro,
no lograrían interrumpir su inmoto fluir.
Por eso me pregunto: “¿Cuándo todo esto podrá tener fin?”
Una insinuante brisa suspirándome en la piel
me sacude de mi torpor y me hace estremecer:
¡Como si hubiera sido la respuesta más obvia!
¿Cuántos escollos consumidos por la infinita sucesión de las olas
se han preguntado el último límite de su perenne sufrir?
Y llorando lágrimas de sal pequeñas perlas amargas
disueltas en la abismal profundidad del mar,
¿Han buscado en vano, entre recovecos y grutas, la solución?
Fantasmas azules sin nombre
se apagan salpicando una fúnebre canción,
su eco deja secuelas de inquietud en mi corazón;
una gaviota blanca y gris, arrastrada por el maestral,
desde lejos me grita algo…
pero desgraciadamente no escucho
y mientras me volteo, su grito se lo lleva el viento.
Y casi la quisiera seguir, pero sé que no puedo hacerlo
no nací gaviota, no sé volar.
Me percaté de ello cuando, encadenado a este fondo,
Traté de escapar: ¡lejos de la ola!
Nací escollo y a ser erosionado me resigné.
Por esto en mi porfídica corteza he dejado crecer una flor,
se llama Gorgona y será mi vida y mi pasión.
Pero ahora déjennos dormir, nuestro amor jamás deberá humillar
este absurdo agitarse del mar.

 

Ninfa del lago fiore del profondo

Tremula ninfa non t’abbandonare nei prati.
Il loro calmo requiare ti nasconde le insidie.
Librati verso lo stagno, ritorna al tuo fiore,
fluttuante nella placida immota superficie,
con le sue fitte radici si nutre del profondo
e il profondo, sadico, si nutre delle sue radici.

Manca il tuo efebico armonioso profilo,
riflesso nell’animo più recondito del lago
per porre rimedio al suo fine escatologico.
Catartico come un oscuro labirinto sepolto,
nefasto come una trenodia presaga di sventure,
dal suo alveo sale un turbine di melma scura,
nella sua superficie affonda ogni fatuo riverbero.

Adesso sì che non potrò mai più rivederti,
ma solo sfiorare i tuoi evanescenti contorni.
Mi dà dolore farlo senza poterti distinguere,
senza che tu possa sentire il mio lieve tocco.
Tale afflizione mi rende ancor più pesante
e pare accorgersene l’abisso che mi invoca,
con quel suo triste canto e la voce da sirena.

Per l’ultima volta sfioro le tue labbra con le mie.
Il tuo viso è adagiato sul bordo del bocciolo
e io vi indugio ancora per un lento minuto,
poi il baratro si impone sul mio egro cuore
e io pronunciando un’ultima volta il tuo nome
mi lascio affondare nel suo gravido ventre.

Ebro per quel contatto d’ogni altra sensazione,
il mio corpo, raggiunge ora il fondo del lago.
So che non sei riuscita a percepire il mio bacio,
ma tu che sai come sono fatto, sai per certo
che non me ne sarei mai potuto andare
senza lasciartene ancora uno per l’eternità.

 

Ninfa del lago, flor de lo profundo.

Trémula ninfa no te abandones en los prados.
Su apacible sosiego te oculta las insidias.
Balancéate hacia el estanque, retorna a tu flor,
fluctuante en la plácida inmota superficie,
con sus agudas raíces se nutre de lo profundo
y lo profundo, sádico, se nutre de sus raíces.

 

Falta tu efébico armonioso perfil,
reflejado en el ánimo más recóndito del lago
para dar remedio a su fin escatológico.
Catártico como un oscuro laberinto sepulto,
nefasto como un treno présago de desdichas,
de su álveo se alza un remolino de cieno oscuro,
en su superficie se hunde todo fatuo reverbero.

Ahora sí que ya no podré volver a verte,
solamente rozar tus evanescentes contornos.
Me duele hacerlo sin poder distinguirte
sin que tú puedas sentir mi leve caricia.
Tal aflicción me agrava aún más
y parece notarlo el abismo que me invoca,
con aquel triste canto y su voz de sirena.

Por última vez rozo tus labios con los míos.
Tu rostro se posa en el borde del capullo
y yo me quedo allí por un lento minuto,
luego el precipicio se impone ante mi enfermo corazón
y yo pronunciando una última vez tu nombre
me dejo hundir en su grávido vientre.

Ebrio por aquel contacto de alguna otra sensación,
mi cuerpo, alcanza ahora el fondo del lago.
Sé que no pudiste percibir mi beso,
pero tú sabes cómo soy, sabes con certeza
que jamás me hubiera podido marchar
sin dejarte uno más para toda la eternidad.

 

L'Idriade di Nettuno figlia

Idriade in acque di vasto fondo e confine
dal periglio delle onde mi salvasti e dal mare
quando affogare mi voleva l'avversa procella:
essa divelto avea del mio naviglio il sartiame,
strappati dai palmi gli indispensabili remi
prese le vele dalle lignee cruciformi braccia;
monco del timone e del rifuggire d'ancora,
nulla mi rimanea se non invocare i Numi.
Scellerata la prua saliva – di lato scartando –
fatale il retro s'attardava: ebbe a chinarsi.
Cercando appiglio mi colse diafana spuma.
Qualcosa d'avverso per le caviglie mi traeva:
il crine dell'ancora attorta avea alla gamba.
M'affonda Dio mio!, e più non gli resisto.
Che terribile sciagura ritrovarmi immerso
in gelide moriture acque, quale ingiuria!
Affondando trassi lume del mio passato
che in sempiterna penuria lottando vissi.
Or per farmi satollo la pressione spingea,
eppur io non cedevo all'agognato respiro
che condotto m'avrebbe a sicura morte.
Tratto verso il fondale – glaciale sepolcro –
sentii inattesa bocca premersi alla mia
e un soffiarmi dentro d'aria non restia.
Di Nettuno figlia, del suo volere ignava,
ella mi salvava conducendomi in antro,
al cui interno, trovar l'aura potei e baciarla.
Fino a che paterna occhiata non ci scorse
e io lesto ricacciato fui negli oscuri abissi,
ma peggio ancora, reciso dalle sue labbra
che gradito fiato in tempo mi avean infuso
– ormai privo – la mia esistenza avrei concluso.
Ma di questa mia speme Dio volle farsi beffa,
in salvo mi recò da Ade, non dal rimembrare.

 

La Hidriade de Neptuno Hija

Hidriade en aguas de vasto fondo y confín
del peligro de las olas me salvaste y del mar
cuando hundirme quería la adversa procela:
esa extirpado había de mi navío las jarcias,
arrancado de las manos los indispensables remos
tomado las velas de los lignarios brazos cruciformes;
manco del timón y del rehuir del ancla,
no me quedaba más que invocar a los Númenes.
Celerada la proa se erguía –de lado desviándose–
fatal la popa demoraba: inclinóse a ese punto.
Buscando asidero me cogió una diáfana espuma.
Algo adverso de los tobillos me tiraba:
el crin del ancla enroscado tenía en la pierna.
¡Me hunde, Dios mío!, y más no lo resisto.
¡Qué terrible desgracia encontrarme inmerso
en gélidas aguas mortales, qué injuria!
Hundiéndome me iluminé de mi pasado
que en sempiterna penuria luchando viví.
Ahora, para colmarme, la presión empujaba,
sin embargo yo no cedía al deseado aliento
que conducido me habría a segura muerte.
Atraído hacia el fondo –glacial sepulcro—
sentí inopinada boca presionarse con la mía
y adentro un soplido de aire no reacio.
De Neptuno hija, de su querer ignava,
ella me salvaba conduciéndome a una caverna,
en cuyo interior, encontrar pude el aura y besarla.
Hasta que una paterna mirada nos divisó
y yo, ligero, expelido fui en los oscuros abismos,
pero peor aún, separado de sus labios
que apetecible aliento a tiempo me habían infundido
—ya privo— mi existencia habría concluido.
Pero de mi esperanza Dios quiso hacerme burla,
a salvo me llevó del Hades, no del rememorar.